“Verso la luce” è sicuramente un’opera di influenza metafisica, ma anche surrealistica, se si vuole.
Un opera d’arte, comunque, che nasce dall’inconscio e raffigura un atmosfera onirica in cui, non necessariamente, debba metter bocca la ragione.
Bisogna precisare, però, che le affinità del presente dipinto risultano protendersi verso i caratteri della pittura metafisica di De chirico. Segni che presentano qualcosa di angosciante e sinistro, oltre che di onirico.
La rappresentazione è quella di un irreale piazza salentina, come spesso avviene nei quadri del nostro artista dove l’atmosfera, fantastica e inquietante, viene data dalla prospettiva irrazionale, dalla incoerenza delle sorgenti di luce e dalla focalizzazione quasi allucinata degli oggetti.
In quest’opera, in cui le presenze umane non comunicano, il silenzio sembra dominare sovrano: isole mentali che generano nell’osservatore un senso di attesa quasi angosciosa di cosa sia in procinto di accadere. In essa ritroviamo anche gli scorci di paesaggio e architettura, estrapolati da varie località salentine, che danno probante testimonianza della bizzarria dello schema compositivo, proprio della metafisica (colori sia caldi che freddi, asimmetria, luci inquietanti) e, più di tutto, il tentativo di andare contro le regole della logica.
L’attenzione dell’osservatore, tuttavia, va catturata dalla statua in primo piano raffigurante il filosofo taurisanese Giulio Cesare Vanini che dall’ombra incede verso la luce, come a star a significare la volontà di uscire dall’oscurantismo. Il gesto del braccio teso spiega, quanto citano vari filosofi posteriori, l’episodio in cui egli, alla domanda dell’inquisizione se lui credesse o meno nell’esistenza di Dio, raccolse un fuscello di paglia da terra proclamando: “Io Posso dimostrare l’esistenza Dio pur partendo da questa pagliuzza.”